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Distrazioni che diventano fatali

L’analisi della dottoressa Cristina Colantuono e della dottoressa Valeria Verrastro, dell’Istituto per lo Studio delle Psicoterapie, su un fenomeno sempre più diffuso e drammatico: dimenticare un bimbo in auto.

Nel 1998 a Catania, nel 2008 a Lecco, nel 2011 a Teramo, nel 2013 a Piacenza, nel 2015 a Vicenza, nel 2016 a Livorno e pochi giorni fa ad Arezzo. Negli Stati Uniti si contano in media 36 bambini ogni anno. In Francia, tra il 2007 e il 2009, 5 bambini hanno perso la vita chiusi in macchina; in Belgio nel biennio 2007/2008 sono stati 2 i casi e in Israele 4 casi tra il 2004 ed il 2008. Non si parla quindi di episodi sporadici di dubbia origine ma di un fenomeno diffuso che assume un valore drammaticamente consistente.

Cosa spinge un adulto normodotato, ben inserito socialmente, con una posizione lavorativa anche stabile e prestigiosa e con la responsabilità di altri figli a commettere una così grave dimenticanza? Le cause assumono diverse definizioni: falsi ricordi, scarti cerebrali, automatismi oppure amnesia dissociativa, come concluso dallo psichiatra, consulente del giudice, che si è pronunciato in un caso simile a Piacenza. In sostanza si è ormai concordi nell’affermare che non si tratti di colpa intenzionale, disattenzione, trascuratezza o volontà omicida ma di patologia legata alla memoria: cioè una lacuna, un black-out tra un ricordo passato ed un pensiero futuro che confonde e compromette la coscienza presente attraverso la perdita delle nozioni di tempo e spazio. Alla base, il parere della maggioranza degli esperti parla di un forte stress fisico e mentale.

Cos’è l’amnesia dissociativa?

L’amnesia dissociativa è una perdita improvvisa di ricordi e può essere circoscritta ad un periodo, una serie di eventi, una persona in particolare o tutto l’arco di vita. Nel caso specifico dei fatti di cronaca in oggetto, si tratta di un’amnesia della durata di poche ore, un vuoto di memoria causato da una condizione di stress significativa, che collega una serie di atti automatici ad un agito mai svolto (lasciare il figlio all’asilo) che è quindi isolato e poi eliminato. Una sezione di vita viene quindi totalmente cancellata dalla coscienza, senza una consapevolezza presente ed a volte anche futura spontanea. Per effettuare una tale diagnosi è necessario escludere la presenza di altre condizioni mediche come crisi epilettiche, trauma cranico, uso di sostanze o altri sindromi amnesiche. Escludendo tali patologie, i fattori scatenanti sono un elevato livello di stress, stanchezza fisica e mentale e l’aver vissuto un evento traumatico (terremoti, inondazioni, guerre…), fattori che poi vanno commisurati alla soglia individuale di sopportazione dello stress. Un individuo che mostra elevati livelli di stress ha maggiori possibilità di incorrere in infarti, emorragie, problemi digestivi, patologie dermatologiche, insonnia, tensioni muscolari, emicrania e difficoltà mnestiche… e la gravità di tali conseguenze dimostra la potenza della mente sul corpo.

Quali sono i sintomi e chi ne può rimanere vittima?

Con i ritmi imposti dalla vita frenetica e incessante del giorno d’oggi, lo stress è un male comune e il turbamento maggiore è proprio perché lo si considera un rischio alla portata di tutti. E’ possibile però utilizzare questo maggiore stato di vigilanza per fare attenzione e riconoscere i segnali di stress più pericolosi: difficoltà di concentrazione, disturbi del sonno, maggiore irritabilità, automatismi, temporanee astrazioni dalla realtà, dimenticanze eccessive, stanchezza diffusa, spossatezza fisica e mentale… E’ una sintomatologia diffusa, frequente e di facile comparsa, anche considerando le difficoltà a cui la vita ci predispone, chiunque quindi può manifestare episodi di amnesia dissociativa. A chi non è capitato di dimenticare una luce accesa, la macchina aperta, il cellulare a casa, di sbagliare strada perché sovrappensiero? Sono eventi di gravità inferiore chiaramente ma originati tutti dallo stesso meccanismo patologico.

Gli elementi che contraddistinguono tale meccanismo sono gli automatismi: nel momento in cui si compiono gli stessi gesti, gli stessi tragitti o gli stessi movimenti, l’attenzione, la consapevolezza e lo stato di coscienza si abbassano per una naturale tendenza all’omeostasi, un’auto regolazione che riduce l’efficienza, una sorta di risparmio energetico che porta ed essere meno vigili, attivi e presenti. Tale condizione di trance distrae dalle microsequenze delle azioni consuete e porta, a volte, a saltarne qualcuna, anche se più importante di altre. E se il corpo dimostra in maniera così lampante di tendere al rilassamento è perché si è in presenza di un’alta frequenza di agenti stressanti: preoccupazioni, responsabilità eccessive, mancanza di sonno, attività mentali impegnative, mancanza di ferie, condizioni mediche particolari.

In altri termini: il corpo umano è una macchina perfetta e quando arriva al massimo delle sue potenzialità tende a prendersi delle pause che gli permettono di riacquistare un po’ di energie. Il problema è che non seleziona gli elementi più importanti e quindi non fa differenza tra il dimenticare la borsa in treno o un figlio in macchina…

Come prevenire un tale rischio?

L’autoanalisi, l’attenzione al sé ed ai segnali del proprio corpo, un’attenta consapevolezza, l’autocritica e una sincerità spassionata sono abilità che permettono di non arrivare a situazioni estreme di stress. Riconoscere di essere in difficoltà permette di fermarsi o comunque di manifestare l’esigenza di una pausa, di un sostegno medico, psicologico, familiare… La vita, il lavoro, la famiglia, gli obiettivi personali impongono ogni giorno degli standard di perfezione che spingono oltre i limiti, anche a discapito di fattori importanti come la salute fisica, gli affetti ed i rapporti.

L’essere umani e vulnerabili non è condannabile né causa di vergogna. Questo è il primo cambiamento da autoimporsi. Altre strategie per prevenire il rischio del blackout agiscono sullo stesso livello mnemonico che vogliono rinforzare: mettere per scritto l’elenco delle cose da fare, per esempio, rende concreta e obbligatoria la necessità di ricordare, senza affaticare la memoria stessa; mettere sul sedile posteriore la borsa o i documenti impone anche di riprenderli prima di scendere dalla macchina, di rendersi così conto che il proprio figlio è ancora lì e quindi di utilizzare il senso della vista come complice e promemoria della sua presenza.

Concentrarsi sul presente e sull’azione che si sta compiendo permette di dedicargli tutta l’attenzione necessaria senza cadere nell’abitudine di fare una cosa e pensarne un’altra. E per concentrarsi sul qui ed ora si può inoltre parlare col bambino durante il tragitto o anche da soli se dorme (vale la pena rischiare di esser presi per matti!); confermare telefonicamente a chi va a prenderlo a scuola, di averlo effettivamente portato; abituarsi a controllare l’interno dell’abitacolo prima di allontanarsi (per accertarsi che i finestrini e la macchina siano chiusi, eventualmente ci si accorge anche della presenza del piccolo); installare applicazioni sul cellulare o sensori all’interno della vettura preposti per questa finalità.

La prevenzione migliore si fa anche eliminando giudizi e pregiudizi: giudicare un genitore vittima di una tale tragedia come incapace, assassino, inetto, spregevole è troppo facile. Il giudizio allontana dall’individuo, gli punta il dito contro perché “a me non può accadere” ed avvicina ad un concetto deprecabile di errore omicida, allontana dalla paura di accettare che una mamma ed un papà siano in grado di dimenticare il proprio figlio, dal terrore che possa capitare in prima persona e che quindi apra la porta a sentimenti di insicurezza, instabilità e scarso controllo. Astenersi dal giudizio porta ad umanizzare questi genitori, a riconciliarsi con la parte più fragile dell’essere umano, a focalizzarsi su esperienze drammatiche e vissuti emotivi che nulla hanno a che fare con l’amore per un figlio.

Empatizzare con un genitore che per un momento di debolezza si è auto-inflitto una condanna a vita significa mettersi nei suoi panni ed affrontare, con indulgenza, la paura che possa accadere anche a noi. Il senso di colpa non lascia scampo anche quando non c’è nulla di cui rimproverarsi. La cosa più importante è perdonarsi e per farlo è necessario non dimenticare e firmare con sé stessi una dichiarazione d’intenti a non farlo più.

Concludendo, le parole più toccanti sono di Alessandra Serra, una mamma di Roma che commenta così la morte della piccola Tamara ad Arezzo: Perciò se dite – a chi ha pagato il prezzo più caro per quel momento di buio – ‘ma come ha fatto’ ‘ma avrà un neurone in testa’, ‘levategli i figli’, non siete migliori di lei. Semplicemente, siete figli di tanti momenti più fortunati. Chiedete a vostra mamma, sorriderà e vi dirà di tutte quelle volte in cui ‘per un pelo…è stato un attimo…grazie a Dio non è successo niente, ma lì per lì volevo morire’. Pensate che per un attimo, una madre non riuscirà mai a dire questa frase a sua figlia e quell’attimo lo cercherà per tutta la vita, insieme a lei.”

DR. CRISTINA COLANTUONO
DR. VALERIA VERRASTRO
Istituto per lo Studio delle Psicoterapie

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